martedì 8 aprile 2008

L'Italia vista da qui


Un articolo di El Pais di qualche giorno fa titolava: Italia no es paìs para jòvenes.

Ecco come ci descrive il quotidiano spagnolo: "Le loro storie si somigliano tutte: hanno tra i 22 e i 36 anni, guadagnano tra i 500 e i 1200 euro al mese, non hanno diritti, vacanze, auto. Non viaggiano in altri paesi e a mala pena comprano libri e vanno a teatro. In molti hanno studiato per farsi una carriera ma lavorano dove capita.....Decisamente, la bella Italia non è un paese per giovani".

Ed ecco allora l'eterno dilemma: che si fa? Si va via rinunciando ad avere la vita che si vuole nel proprio paese o si resta con la speranza che ci sia una possibilità?

2 commenti:

Unknown ha detto...

beh questo è il problema, che si fa? Possiamo parlare di globalizzazione, di inettitudine politica, di decadenza del paese, della casta, delle roccaforti dei privilegi che nessuno espugna, di un paese che non tiene in considerazione i giovani. Sicuramente vero, ma anche troppo semplicistico. Io direi anche: che fanno i giovani? So che parlo da tempi lontani e che quindi non fanno più testo. Ma cosa fanno i giovani? I giovani nel nostro 68 subivano comunque altrettante esclusioni e prevaricazioni, ma c'era comunuqe la convinzione che i giovani erano (e sono) una forza, che se si mette in moto, non può passare inosservata e ignorata. E allora hanno cambiato (nel bene e nel male) il mondo. Non vuole essere un discorso qualunquistico, ma qualche riflessione la merita. Anche e soprattuto per gli stessi genitori di questi ragazzi. Se accettiamo che paperino prima e i reality poi diventino gli strumenti di formazione della giovantù. Se pensiamo che la nostra fatica non debba più appartenere ai nostri figli, e che i giovani la considerino ormai una prerogativa degli extracomunitari. Se si considerano accettabili i 500 euro mensili, tanto poi c'è qualun altro che supplisce per il resto. Se si considera una nullità nella formazione, il servizio militare, senza sostituirlo con un periodo di servizio civile. E che ogni disciplina è una costrizione e lavorare nell'agricoltura una umiliazione.....beh allora le prospettive sono poche. Nel senso che chi ha acqusito questa consapevolezza (e ce ne sono ancora grazie al cielo) potranno certo trovare soluzioni in altri paesi. Per gli altri credo ci siano poche possibilità anche all'estero. IO continuo a pensare che un movimento giovanile consapevole, unanime e determinato, saebbe inarrestabile, ora come allora nel cambiare le cose. Ma se tutto viene demandato.....allora per un pò di tempo la cosa regge....poi crolla. E' il fenomeno della decadenza....nel personale e nel sociale.....e nessun impero può sopravvivere a questo. E tutti ne siamo responsabili...giovani e meno giovani......

Valeria ha detto...

Sono d'accordo nel definire il periodo in cui viviamo generalmente decadente e pessimista. C'è chi dice che la storia si ripete a cicli, speriamo quindi che a questa fase negativa ne segua una di miglioramento. Condivido anche l'idea che lamentarsi non sia una soluzione: rimboccarsi le maniche ed essere costruttivi è quello che serve. Tuttavia il dilemma Italia o estero resta. Quello che mi è sembrato di capire è che quando ci si rimbocca le maniche all'estero si instaura un circolo virtuoso. Studi, ti prepari, migliori e vieni ricompensato: trovi lavoro, ottieni una promozione, un prestito o ciò di cui hai bisogno. Conosco alcune persone che in Italia invece hanno studiato, lavorato duro, hanno saputo adattarsi ai lavori che trovavano senza fare tanto gli schizzinosi ma hanno ricevuto in cambio ancora poco: contratti miseri, offerte di stage. Ovvio, non bisogna abbattersi e guardare avanti, ma è inevitabile che la cosa dispiaccia. Ed ecco che allora l'estero diventa una possibile soluzione. Certo anche questa scelta implica dei compromessi: si lasciano indietro famigliari ed amici e spesso si va a vivere in città più brutte di quelle italiane. Ma la ricerca di un luogo in cui si viene apprezati è anche sengo che si crede ancora nelle proprie possibilità e che non si è persa la stima in se stessi.